Marziale
Epigrammata VIII, 3

«Cinque libretti potevano bastare: sei o
sette sono troppi: che ti giova, o Musa,
aggiungere altri giocosi carmi? Trattieni e fai
punto: la fama non mi può dare più nulla
in aggiunta. I miei libri sono letti ovunque, e quando
le pietre di Messalla cadranno a terra consunte dalla muffa e i superbi marmi di Licino saranno
polvere, vi saranno ancora bocche che mi
leggeranno e moltissimi forestieri porteranno con loro
in patria i miei carmi ». Avevo appena finito
di parlare, che la nona Musa (ndt. Talia, musa della commedia),
che aveva la chioma e la veste imbevute di unguento, così mi rispose: « E avresti
il coraggio, o ingrato, di abbandonare queste dolci
bagattelle? Dimmi, come passerai meglio il tuo tempo nell'ozio? Ti piacerebbe forse lasciare
la ciabatta dei comici per il tragico coturno, o cantare
in altosonanti esametri aspre guerre, perché un
tronfio maestro di scuola ti legga con voce rauca
e mature ragazze e innocenti fanciulli ti odiino?
Scrivano tali poemi troppo pedanti e severi, che la
lucerna vede miseri nel cuore della notte. Ma tu cospargi di arguzia romana i tuoi scherzosi libretti,
ove la vita possa riconoscere e leggere
i suoi costumi. Non ti dispiaccia se puoi dare l'impressione di cantare su un piccolo flauto,
purché esso vinca le trombe di molti poeti».